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Prologo - l'inizio della guerra

Era tutto finito. Tormento, dolore, ingiustizia e sofferenza. Finalmente ogni cosa era giunta al termine. La folla esultò. Grida speranzose si riunirono in coro, riecheggiando in ogni angolo dell'Inferno.

La testa era caduta, rotolata, il collo spezzato. Quell'odioso dittatore non c'era più.
Un solo lamento spezzato piangeva la sua morte. Non che quella minuscola vocina contasse qualcosa, di fronte alla gloriosa vittoria dei sette regnanti.

Fuochi fatui volteggiavano nell'aria, unendosi in gruppo, sbocciando come tanti fiori bluastri, disegnando intricati bagliori luminescenti.
Demoni festeggiavano allegramente, ballando nel sangue. E lui singhiozzava, prometteva vendetta, la gente invece urlava di gioia. Gli sguardi rivolti al cielo verdognolo.

Il corpo del decapitato stava già venendo impalato. Lo burlavano, gettavano marciume su quelle povere spoglie. L'impero era crollato.

All'improvviso una risata cristallina ruppe quella barbarica magia. Era dolce, delicata come le foglie che cadono in autunno, eppure risuonava nell'aria, forte, stordente. I peccati si fermarono di colpo. Ira si guardò intorno, incrociò lo sguardo di Invidia.

«Sei stata tu!?» gli chiese, il tono furente. Lei negò, scosse il capo mestamente. Ira allora osservò i suoi compagni uno a uno, cercando un volto colpevole: Lussuria e Gola parlottavano fra loro, Accidia quasi dormiva, Avarizia e Superbia litigavano come al solito.

Cos'era stato? Se l'era immaginato? Eppure ogni demone pareva aver percepito quella spaventosa risata. Solamente uno, tra la folla, sembrava esser diventato sordo. E non gioiva: guaiva, ululava. Lacrime amare gli scivolavano lungo le guance rosse, si teneva la testa fra gli artigli, rannicchiato su se stesso, paonazzo, disperato. Gridava quel nome a squarciagola, pregava che tutto fosse solamente un brutto incubo. Voleva svegliarsi, ritrovarsi nuovamente al suo fianco, tra le sue braccia.

Ira gonfiò il petto. Gli occhi dei presenti furono nuovamente su di lui: l'eroe che aveva sconfitto l'impero. La terra rombò, il cielo tuonò, la piazza gelò. La lama della ghigliottina brillava, insanguinata, sotto la luce dell'unica luna dell'Inferno.

Superbia tremò. Aveva un bruttissimo presentimento.

I demoni erano da sempre costretti a una notte perenne, buia e verdastra, eppure l'atmosfera non era mai stata tanto inquietante. Il corpo impalato si muoveva al vento, gli arti penzolavano come bandiere. Quell'unico demone piangeva ancora, lo chiamava.
E allora la risata rispose.

Una brezza leggera sfiorò i tetti delle case che adornavano la piazza, ribaltò i panni stesi nei balconi, superò i mattoni che costruivano le strade, raffreddò l'acqua della fontana. Arrivò al corpo, lo accarezzò, lo adorò. E poi lo prese con sé.

Scomparve nel nulla, sotto gli occhi sconcertati del popolo demoniaco, così come la testa. E quel pianto non si udiva più. Che fine aveva fatto il traditore?

Nessuno ebbe il tempo di chiederselo. Una bambina si fece spazio fra la folla. Aveva la pelle cadaverica, la chioma bianco neve, le labbra violacee, gli occhi vuoti, spenti come quelli di un pesce morto. Due braccia, due gambe. Non un corno, non una coda. Era umana. Saltellò fra i demoni, quasi avesse ogni diritto di essere lì.
Però da quando gli esseri umani potevano sopravvivere all'aria rarefatta dell'Inferno?

In apparenza era deboluccia, sbiadita, stanca, eppure possedeva una certa energia. Ogni cosa sembrava gravitarle attorno, celebrarla. Il vento la seguiva, fedele più di un cane. Le scompigliava i capelli, l'accarezzava.

La bambina trotterellò fino al nuovo re. Superò senza ritegno i peccati, non li degnò di un singolo sguardo. Ira provò a protestare, ma una folata lo zittì. Gli ringhiò contro, feroce. Una nebbia scura. Un mastino nero. Cerbero. Ira fece un passo indietro. Il segugio lo osservava con occhi intrisi di sangue scarlatto, dilatati, ossessionati. L'avrebbe divorato.

Il futuro re raggelò. La corona, adagiata sulla testa pelata, scintillava vittoriosa. Strinse i braccioli del trono fra le dita, le nocche gli diventarono biancastre. Uno strana sensazione lo tormentava, lo spaventava. Qualcosa gli diceva che doveva ubbidire a quell'umana, altrimenti non avrebbe visto una nuova alba. La bambina gli sorrise. Lo sguardo dolce, gentile. Non disse una parola, alzò solamente un braccio. E poi lo lasciò ricadere con forza, secco come la lama di un coltello.

«Spero ti sia goduto lo spettacolo.» cominciò, riferendosi all'agghiacciante esecuzione.
Poi continuò, la sua voce era un mormorio: «Fossi in te, comunque, non mi muoverei proprio più.» Ridacchiò. Quella risata!

La bambina si voltò, ritornò sui suoi passi. Quando gli fu accanto, Cerbero si sciolse in una nuvola, un'ombra, infine divenne trasparente. Ira tornò a respirare. L'umana lo guardava dritto negli occhi, non un velo di terrore traspariva da quelle iridi morte, solamente una dolcezza disarmante.

La bambina si rivolse ai peccati, con il tono di chi aveva diritto non solo di chiedergli udienza, ma di disprezzarli apertamente. Nemmeno i principi infernali osavano tanto.
«I miei omaggi, coglioni capitali.» li salutò con finto rispetto, inchinandosi. Ogni movimento era leggiadro, aggraziato. Quando rialzò il capo, la falce di Ira era già pronta a schiantarsi sul suo piccolo collo, ma quel maledetto vento la proteggeva e spezzò l'arma in due. L'acciaio crollò sui mattoni, risuonò nella piazza come un'inquietante profezia.

Lei li avrebbe distrutti.

Accidia mosse una mano, delle enormi catene d'argento agguantarono la bambina per i polsi, tentando di trascinarla. Però l'umana, seppur minuta, risultava estremamente pesante, Accidia non riuscì a spostarla di un millimetro. Le catene tese si ruppero l'istante successivo, alla piccola bastò un solo sguardo.

Allora Superbia fece cadere delle spade dal cielo, la circondarono, la infilzarono. La debole carne umana parve lacerarsi immediatamente, e il peccato sorrise, mostrando i canini appuntiti. Il momento di gloria non durò a lungo. La pelle della bambina d'un tratto divenne morbida come creta, si espanse, ingollò ogni arma quasi ne avesse fame. Poi tornò normale. Zampettò fino a Gola. Lei provò direttamente a mangiarla, a staccarle la giugulare con un morso.

La giovane però si spostò di un passo, Cerbero comparve nuovamente al suo fianco. Fece volare via Gola con una zampata, prima che lei potesse anche solo pensare di assaggiare la sua amata padrona, dopodiché scomparve, come se non fosse mai stato davvero lì. Il peccato provò immediatamente a rimettersi in piedi con scarso successo. Una casa le era crollata addosso. Non era nulla che un demone del suo calibro non potesse reggere, eppure il suo corpo non rispondeva bene.

Lussuria provò a incantare la bambina. La voce del peccato era zuccherosa, soave, le chiedeva di fermarsi, le intorpidiva i sensi. La piccola alzò una mano, le spade che aveva ingurgitato comparvero dal suolo, dalle ombre dei presenti, e circondarono Lussuria, puntando al torace formoso. Lei smise di parlare. Sapeva che se avesse respirato troppo forte l'avrebbero certamente lacerata. Non poteva rischiare ferite del genere.

Superbia provò a riprendersi ciò che gli apparteneva, ma ormai quelle lame lucenti ubbidivano ai comandi dell'umana. Erano diventate sue.

Fu allora che si udì un colpo secco. Un corpo cadde a terra, privo di vita. I demoni urlarono, in panico. Qualcuno finalmente scappò, poi a centinaia si riversarono nelle strade adiacenti alla piazza, fuggendo dalla mostruosa bambina. Il nuovo re giaceva morto. Qualcosa, qualcuno, gli aveva appena tagliato la gola e il sangue dorato, che era prerogativa della nobile gente, zampillò dalla carotide recisa come una graziosa fontanella.

«Gli avevo detto di non muoversi.» sbuffò la fanciulla.
«Che stupido.»

Ira le fu di nuovo contro. Nemmeno Cerbero avrebbe potuto fermarlo ora. Ci pensò la bambina. Allungò nuovamente un braccio, dalla terra si levò una mano spettrale. Lo prese per il collo e lo ributtò malamente al suo posto. Una nuvola di polvere si sollevò e fu costretto a respirare quell'aria sporca. Non era mai stato umiliato così tanto.

«Avevo un accordo con quel demone che tanto odiavate, che avete ripudiato, ucciso.» mormorò la bambina.
«Il sovrano che reggeva l'impero era un mio caro conoscente. Dubito però che vi abbia mai parlato di me o delle sue valorose gesta. Era fatto così, per questo l'avete creduto debole, incapace.» scosse il capo.
«Ma non era contro di lui che dovevate puntare la vostra lama. Vedete, mi ha donato un parco giochi, delle creature a mia immagine, qualcosa per cui valesse la pena vivere, che mi divertisse e tenesse buona.» le palpebre si chiusero, i ricordi del passato tornarono, prepotenti, a scaldarle il cuore.
«Un mondo da far mio, da poter corrompere, illudere, governare.» continuò.
«Gli umani che tanto detestate, la Terra che tanto schernite. Quella è la mia casa.» sorrise.
«In cambio, avevo giurato che mai avrei alzato un dito sulla sua gente, ma ora è morto e voi tutti non siete più suoi.» la voce era flebile, un sussurro, eppure arrivò chiara alle orecchie di ogni presente.
«L'accordo è saltato.» concluse.
«Cazzoni capitali, intrattenetemi, fatemi provare qualcosa con la vostra sofferenza. Morite per me. Da oggi siamo in guerra.»

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